martedì 3 marzo 2015

HOUSE OF CARDS, IL CASTELLO DI CARTE





Eccomi tornata on-line dopo essere sopravvissuta a un fastidiosissimo virus gastro-intestinale (non ve lo auguro) e ritorno per ricordarvi che, se non ve lo foste segnati sul calendario, la terza stagione di House of Cards è stata interamente rilasciata il 27 febbraio scorso; l’intera terza stagione, avete capito bene, perché ovviamente House of Cards è un prodotto Netflix.

Per chi non lo sapesse Netflix è una piattaforma americana di streaming online su abbonamento che da qualche anno si è messa a produrre serie originali.
Tra queste House of Cards è diventata in breve tempo la sua punta di diamante (altri prodotti sono Orange Is The New Black, Lilyhammer e fra un mesetto Daredevil).
Altra caratteristica di Netflix è di “rilasciare” tutte le puntate di una stagione nello stesso giorno, così da permettere allo spettatore di poter scegliere la modalità di fruizione della serie ovvero se vedersela in un’unica soluzione o centellinare gli episodi a proprio piacimento secondo la voglia e il tempo.
Purtroppo questo servizio non è ancora arrivato in Italia (se mai arriverà) ed essendo le serie Netflix trasmesse nel nostro paese ancora dalla Tv tradizionale qui da noi non si avverte l’elemento rivoluzionario di questa piattaforma perché la modalità di fruizione è decisa dalla programmazione televisiva e non dallo spettatore.
Tutto questo cappello è per spiegarvi cos’è Netflix e magari fra un pò scriverò un articolo per rendere comprensibile il funzionamento dell’universo seriale americano.

Ma veniamo all’argomento di questo articolo ovvero House of Cards, che in italiano ha il non necessario sottotitolo esplicativo “Gli intrighi del potere”.

House of Cards la serie (possibili piccoli spoiler)

House of Cards è una serie statunitense tratta da una serie inglese a sua volta tratta da un libro omonimo e parla del capogruppo del partito democratico americano Frank Underwood e della sua ascesa al potere nel corso delle stagioni.
Ascesa che nelle modalità non ha nulla di democratico essendo Frank un uomo che vede nella politica un mero gioco di potere e di alleanze, disinteressato al bene pubblico se non nella misura in cui questo possa produrre un accrescimento del potere privato.
Frank Underwood si inserisce a piano titolo nella scia dei “bad guy” della serialità moderna americana non avendo alcuno scrupolo morale nel raggiungimento dei suoi obiettivi per i quali intriga, stringe alleanze strumentali, manipola, usa persone emotivamente fragili e uccide, muovendosi secondo la vecchia filosofia del “Mors tua, vita mea”.
In questa ascesa è coadiuvato dalla moglie Claire Underwood (impersonata dalla sempre bellissima Robin Wright) con cui ha una relazione “aperta”, ma solidissima grazie a una forte complicità e condivisione di obbiettivi.  Frank e Claire sono una squadra unita da comuni desideri e intenti. 
Alcuni commentatori infatti hanno visto House of Cards come una serie sul matrimonio e la coppia. Di certo i due sono molto più uniti di molte altre coppie che vediamo sullo schermo e che dicono di amarsi.

Frank Underwood nel corso delle sue peripezie non disdegna di sciorinare pillole di vita o frasi memorabili rivolgendosi direttamente allo spettatore a cui più volte durante la serie parla attraverso lo sfondamento della quarta parete.
Vi consigliamo di prendere nota di alcune di queste perle e di citarle quando vi troverete nel mezzo di un’intelligentissima discussione politica!

La più memorabile di tutte è Democracy is so overrated (La democrazia è così sopravvalutata) frase ormai diventata manifesto della serie stessa.


Alcuni considerazioni sui primi due episodi della terza stagione, Chapter 27 (scritto da Beau Willimon) e Chapter 28 (scritto da John Mankiewicz)

Da qui grandi spoiler 

Arrivo quindi a parlare dei primi due episodi della terza stagione, gli unici che ho visto finora anche se sono sicura che qualcuno molto ferrato in inglese si sarà già “sparato” l’intera stagione.

Avevamo lasciato Frank Underwood alla fine della seconda stagione, ormai diventato Presidente degli Stati Uniti d’America dopo le dimissioni indotte del Presidente eletto Garrett Walker e senza aver mai avuto un solo voto popolare (vi ricorda qualcuno?).
Proprio questa mancanza di un’investitura popolare sembra essere la maggiore difficoltà per il neo Presidente non eletto, che nella nuova carica viene percepito come un tappabuchi in attesa delle elezioni del 2016, osteggiato dal suo stesso partito che non vuole ricandidarlo e in caduta libera nei sondaggi popolari.

Ciò che lascia un po’ insoddisfatti nel primo episodio (Chapter 27) di questa terza stagione è che si concentra su Doug Stamper, personaggio secondario ma importante nella narrazione per la sua indiscussa fedeltà a Frank.
Il primo colpo di scena è proprio la rivelazione che Doug, che avevamo lasciato in un bosco presumibilmente morto, è invece vivo. Alla sua riabilitazione è dedicata la maggior parte dello screentime della premiere.
Iniziare con un episodio così particolare lascia un certo effetto di straniamento e insoddisfazione perché il protagonista viene lasciato sullo sfondo. E’ un po’ come se ci trovassimo davanti a un’altra serie.
Questo episodio è tra l’altro scritto proprio dal creatore Beau Willimon ed è lecito chiedersi se tutta questa attenzione al personaggio di Doug voglia significare che lui e quindi anche il personaggio di Rachel diverranno fondamentali in questa terza stagione. Rachel rappresenterà la nemesi di Frank e porterà alla sua caduta?

Il secondo episodio (Chapter 28) si muove invece su binari più tradizionali alla serie riportando l’attenzione su Frank Underwood e sulla Casa Bianca, con un risultato finale decisamente più avvincente.
Quest’ultimo messo al muro dal suo partito reagisce e passa al contrattacco riuscendo ancora una volta a ribaltare il proprio svantaggio segnando un punto a favore. Il discorso alla Nazione è uno di quei capolavori di ipocrisia travestiti da schietta onestà che solo Frank ci sa regalare. Qualcuno crede veramente che Frank non si candiderà alle prossime elezioni? State sereni.
Se “America Works”, il programma molto discutibile promosso da Frank, funzionerà, il nostro sarà pronto a fare le scarpe a qualsiasi candidato il partito democratico vorrà presentare.

Altro punto cardine su cui ruoterà la stagione sembra essere Claire e il suo desiderio di voler uscire dall’ombra del marito per promuovere se stessa (tempismo perfetto….).

Che dire? Per ora non mi sbilancio troppo e dico che l’inizio è Ok. Dopo una premiere spiazzante il secondo episodio sembra promettere un’altra avvincente stagione di intrighi e giochi di potere. L’unica mia speranza è che Frank Underwood possa veramente trovare sulla sua strada un avversario degno di lui (il punto più debole della seconda stagione è stata la facilità con cui il Presidente Walker si è fatto infinocchiare).
Io comunque mi accomodo per la visione e dico solo: bentornato Frank!

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