Eccomi tornata on-line dopo essere sopravvissuta a un
fastidiosissimo virus gastro-intestinale (non ve lo auguro) e ritorno per
ricordarvi che, se non ve lo foste segnati sul calendario, la terza stagione di
House of Cards è stata interamente
rilasciata il 27 febbraio scorso; l’intera terza stagione, avete capito bene,
perché ovviamente House of Cards è un prodotto Netflix.
Per chi non lo sapesse Netflix è una piattaforma americana
di streaming online su abbonamento che da qualche anno si è messa a produrre
serie originali.
Tra queste House of Cards è diventata in breve tempo la
sua punta di diamante (altri prodotti sono Orange
Is The New Black, Lilyhammer e fra
un mesetto Daredevil).
Altra caratteristica di Netflix è di “rilasciare” tutte le
puntate di una stagione nello stesso giorno, così da permettere allo spettatore
di poter scegliere la modalità di fruizione della serie ovvero se vedersela in
un’unica soluzione o centellinare gli episodi a proprio piacimento secondo la
voglia e il tempo.
Purtroppo questo servizio non è ancora arrivato in Italia
(se mai arriverà) ed essendo le serie Netflix trasmesse nel nostro paese ancora
dalla Tv tradizionale qui da noi non si avverte l’elemento rivoluzionario di
questa piattaforma perché la modalità di fruizione è decisa dalla programmazione
televisiva e non dallo spettatore.
Tutto questo cappello è per spiegarvi cos’è Netflix e
magari fra un pò scriverò un articolo per rendere comprensibile il
funzionamento dell’universo seriale americano.
Ma veniamo all’argomento di questo articolo ovvero House
of Cards, che in italiano ha il non necessario sottotitolo esplicativo “Gli
intrighi del potere”.
House of Cards la
serie (possibili piccoli spoiler)
House of Cards è una serie statunitense tratta da una serie inglese a sua volta tratta da un libro omonimo e parla del capogruppo del partito
democratico americano Frank Underwood e della sua ascesa al potere nel corso
delle stagioni.
Ascesa che nelle modalità non ha nulla di democratico
essendo Frank un uomo che vede nella politica un mero gioco di potere e di
alleanze, disinteressato al bene pubblico se non nella misura in cui questo possa
produrre un accrescimento del potere privato.
Frank Underwood si inserisce a piano titolo nella scia dei
“bad guy” della serialità moderna americana non avendo alcuno scrupolo morale
nel raggiungimento dei suoi obiettivi per i quali intriga, stringe alleanze
strumentali, manipola, usa persone emotivamente fragili e uccide, muovendosi secondo
la vecchia filosofia del “Mors tua, vita mea”.
In questa ascesa è coadiuvato dalla moglie Claire
Underwood (impersonata dalla sempre bellissima Robin Wright) con cui ha una
relazione “aperta”, ma solidissima grazie a una forte complicità e condivisione
di obbiettivi. Frank e Claire sono una
squadra unita da comuni desideri e intenti.
Alcuni commentatori infatti hanno visto House of Cards come una serie sul matrimonio e la coppia. Di certo i due sono molto più uniti di molte altre coppie che vediamo sullo schermo e che dicono di amarsi.
Alcuni commentatori infatti hanno visto House of Cards come una serie sul matrimonio e la coppia. Di certo i due sono molto più uniti di molte altre coppie che vediamo sullo schermo e che dicono di amarsi.
Frank Underwood nel corso delle sue peripezie non disdegna
di sciorinare pillole di vita o frasi memorabili rivolgendosi direttamente allo
spettatore a cui più volte durante la serie parla attraverso lo sfondamento
della quarta parete.
Vi consigliamo di prendere nota di alcune di queste perle e
di citarle quando vi troverete nel mezzo di un’intelligentissima discussione
politica!
La più memorabile di tutte è Democracy is so overrated (La democrazia è così sopravvalutata)
frase ormai diventata manifesto della serie stessa.
Alcuni
considerazioni sui primi due episodi della terza stagione, Chapter 27 (scritto
da Beau Willimon) e Chapter 28 (scritto da John Mankiewicz)
Da qui grandi
spoiler
Arrivo quindi a parlare dei primi due episodi della terza
stagione, gli unici che ho visto finora anche se sono sicura che qualcuno molto
ferrato in inglese si sarà già “sparato” l’intera stagione.
Avevamo lasciato Frank Underwood alla fine della seconda
stagione, ormai diventato Presidente degli Stati Uniti d’America dopo le
dimissioni indotte del Presidente eletto Garrett Walker e senza aver mai avuto
un solo voto popolare (vi ricorda qualcuno?).
Proprio questa mancanza di un’investitura popolare sembra
essere la maggiore difficoltà per il neo Presidente non eletto, che nella nuova
carica viene percepito come un tappabuchi in attesa delle elezioni del 2016,
osteggiato dal suo stesso partito che non vuole ricandidarlo e in caduta libera
nei sondaggi popolari.
Ciò che lascia un po’ insoddisfatti nel primo episodio (Chapter 27) di questa terza stagione è
che si concentra su Doug Stamper, personaggio secondario ma importante nella narrazione
per la sua indiscussa fedeltà a Frank.
Il primo colpo di scena è proprio la rivelazione che Doug,
che avevamo lasciato in un bosco presumibilmente morto, è invece vivo. Alla sua
riabilitazione è dedicata la maggior parte dello screentime della premiere.
Iniziare con un episodio così particolare lascia un certo
effetto di straniamento e insoddisfazione perché il protagonista viene lasciato
sullo sfondo. E’ un po’ come se ci trovassimo davanti a un’altra serie.
Questo episodio è tra l’altro scritto proprio dal creatore
Beau Willimon ed è lecito chiedersi se tutta questa attenzione al personaggio di
Doug voglia significare che lui e quindi anche il personaggio di Rachel diverranno fondamentali in
questa terza stagione. Rachel rappresenterà la nemesi di Frank e porterà alla
sua caduta?
Il secondo episodio (Chapter
28) si muove invece su binari più tradizionali alla serie riportando
l’attenzione su Frank Underwood e sulla Casa Bianca, con un risultato finale
decisamente più avvincente.
Quest’ultimo messo al muro dal suo partito reagisce e
passa al contrattacco riuscendo ancora una volta a ribaltare il proprio
svantaggio segnando un punto a favore. Il discorso alla Nazione è uno di quei
capolavori di ipocrisia travestiti da schietta onestà che solo Frank ci sa
regalare. Qualcuno crede veramente che Frank non si candiderà alle prossime
elezioni? State sereni.
Se “America Works”, il programma molto discutibile promosso
da Frank, funzionerà, il nostro sarà pronto a fare le scarpe a qualsiasi
candidato il partito democratico vorrà presentare.
Altro punto cardine su cui ruoterà la stagione sembra
essere Claire e il suo desiderio di voler uscire dall’ombra del marito per
promuovere se stessa (tempismo perfetto….).
Che dire? Per ora non mi sbilancio troppo e dico che
l’inizio è Ok. Dopo una premiere spiazzante il secondo episodio sembra
promettere un’altra avvincente stagione di intrighi e giochi di potere. L’unica
mia speranza è che Frank Underwood possa veramente trovare sulla sua strada un
avversario degno di lui (il punto più debole della seconda stagione è stata la
facilità con cui il Presidente Walker si è fatto infinocchiare).
Io comunque mi accomodo per la visione e dico solo:
bentornato Frank!
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